Dal 2006 ad oggi ho corso quindici maratone. Un anno sono arrivato a correrne quattro. E quattro sono tante. Di queste quindici, tre le ho concluse a New York, ma il mio sogno è sempre stato quello di gareggiare una Boston Marathon.
Perché un sogno?
Perché in quasi tutte le altre maratone ti iscrivi, paghi e vai a correre, mentre a Boston non è così semplice. Per correre la maratona di Boston bisogna avere il tempo di qualifica, ovvero ti puoi iscrivere solo se sei riuscito a terminare una 42 chilometri entro un tempo determinato. Nel mio caso di quasi cinquantenne il tempo di qualifica è sotto le tre ore e trenta. Oggi decisamente un tempo fuori dalla mia portata. Il mio miglior tempo è di tre ore e cinquantotto minuti.
Per correre la maratona per le strade di Boston bisogna meritarselo. D'altronde nella sua categoria è la più vecchia al mondo.
Il giorno della maratona è un giorno di festa. E' il giorno in cui si scende per strada a fare il tifo, per incitare tutti insieme gli atleti che corrono. Chi indossa i calzoncini e le scarpette si appunta un numero sul petto, quel giorno è considerato un eroe. Vi assicuro, lo dico ai tanti che non l'hanno mai fatto, correre per 26.2 miglia, ovvero 42,195 chilometri, ogni volta è un'impresa.
Per chi è un minimo informato in materia sa che la Boston Marathon è famosa, tra le altre cose, per la Heartbreak Hill, la collina spaccacuore, impegnativa salita di circa seicento metri posta dopo il trentaduesimo chilometro; quasi una carognata.
Ma ancora di più è famosa per il passaggio nei pressi del Wellesley College, dove le studentesse cercano di irretire e distrarre i podisti offrendo loro un bacio a chi si ferma.
Ecco, io voglio che rimanga questo nella mia memoria: la gara e il sano agonismo di una impegnativa competizione, la gente che incita felice e fa festa per le strade, le studentesse che fanno a gara nel bloccare gli atleti. Questo è non altro dovrà essere sempre la Boston Marathon.
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